Malasanità

Scatta l’omicidio preterintenzionale di cui all’articolo 586 cod. pen. per il chirurgo in caso di morte del paziente a seguito di intervento inutile.

Questo è quanto emerge dalla sentenza 24 settembre – 9 dicembre 2020, n. 34983 (testo in calce) della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Il caso vedeva un medico-chirurgo essere accusato di avere realizzato una serie di interventi chirurgici privi di finalità terapeutiche, alcuni di essi caratterizzati dall’elevato rischio di morte per i pazienti, già affetti da patologie gravi, e senza un loro valido consenso.

A seguito delle più recenti riforme legislative in materia di colpa medica (ad esempio la Legge 8 marzo 2017, n. 24), tale colpa, anche in relazione all’omicidio derivato da un atteggiamento colposo nell’esercizio della professione medica, trova il suo spazio di elezione e, al tempo stesso, circoscrive l’ambito della sua applicabilità come coefficiente psicologico di attribuzione della responsabilità al ventaglio di condotte mediche, anzitutto chirurgiche, ispirate e motivate da una finalità terapeutica e funzionali alla cura del paziente.

Solo nel caso in cui l’attività medico-chirurgica sia sorretta da una ragionevole indicazione terapeutica, o tale indicazione sia ritenuta in buona fede dall’agente comunque sussistente, con valutazione ex ante, la relativa attività deve considerarsi in via di principio lecita e sindacabile sotto l’esclusivo profilo della colpa, in ipotesi di errore operatorio ascrivibile a negligenza, imprudenza o imperizia.

Nel caso, invece, in cui l’intervento operatorio sia posto in essere in assenza di qualsiasi ragionevole indicazione terapeutica, con condotta consapevolmente estranea o distorta rispetto alle finalità diagnostiche o di cura, la condotta del medico è destinata a risolversi in una ordinaria attività di natura dolosa.

Risponde, quindi, di omicidio preterintenzionale il medico che sottoponga il paziente ad un intervento, dal quale ne sia derivata la morte di quest’ultimo, in assenza di finalità terapeutiche, ovvero per fini estranei alla tutela della salute del paziente, ad esempio provocando coscientemente una inutile mutilazione, o agendo per scopi estranei (scientifici, dimostrativi, estetici o didattici), non accettati dal paziente; al contrario, non ne risponderà, nonostante l’evento infausto, il medico che sottoponga il paziente ad un trattamento non consentito ed in violazione delle regole dell’arte medica, quando nella sua condotta sia rinvenibile una finalità terapeutica, o comunque la terapia sia inquadrabile nella categoria degli atti medici, poiché in tali casi la condotta non è diretta a ledere, e l’agente, se cagiona la morte del paziente, risponderà a titolo di omicidio colposo ove l’evento sia riconducibile alla violazione di una regola cautelare (Cass. pen., Sez. IV, 26 maggio 2010, n. 34521).

Solo l’intervento chirurgico non orientato affatto da una finalità terapeutica, anche solo di natura palliativa, smette di essere un atto medico che trova la sua legittimazione nell’art. 32 Cost., e non si differenzia dalla condotta di chiunque leda volontariamente l’integrità fisica altrui.

Nella fattispecie erano tanti gli interventi chirurgici privi di ogni indicazione terapeutica posti in essere dal medico, con una malriposta fiducia nella propria onnipotente capacità medica, il tutto al fine di incrementare i rimborsi a carico del sistema sanitario nazionale in favore della clinica privata e i propri profitti professionali.

Gli ermellini precisano, altresì, che, in ipotesi di intervento chirurgico con esito infausto, il consenso del paziente che, se espresso volontariamente e nei limiti di cui all’art. 5 codice civile, preclude la possibilità di configurare il delitto di lesioni volontarie, assumendo efficacia scriminante, non è necessario, perché l’intervento medico-chirurgico sia penalmente lecito, in presenza di ragioni di urgenza terapeutica o nelle ipotesi previste dalla legge.

Viceversa, in presenza di una manifestazione di volontà esplicitamente contraria all’intervento terapeutico, l’atto, asseritamente terapeutico, costituisce una indebita violazione non solo della libertà di autodeterminazione del paziente, ma anche della sua integrità.